Cenni Storici sulle Majoliche di Deruta

La Ceramica di Deruta … tra passato, presente e futuro ...

Un approfondimento storico dal Medioevo al Rinascimento, perché non possiamo pensare al futuro senza conoscere chi siamo e da dove veniamo…

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Cenni Storici

L’abbondanza di depositi di argilla e la posizione favorevole lungo importanti vie di comunicazione, sia terrestri che fluviali, favorirono lo sviluppo della produzione ceramica a Deruta sin dal Medioevo.

Con una continuità, ininterrotta da almeno sette secoli, Deruta rappresenta ancora oggi il centro di maggiore produzione di maiolica artistica in Italia. In questa grande culla ceramica non si contano i laboratori artigiani, le fornaci dove si sono create e provate nuove terre, sperimentate nuove tecniche, pensate nuove forme, provati nuovi smalti e nuove vernici, impiegati nuovi colori e dipinti nuovi decori.

La produzione artistica, fin dal periodo più antico, ebbe un’occasione straordinaria di pubblicità: la vicinanza di Assisi, polo di attrazione e centro cosmo politico di tutta l’Europa cristiana. Nell’Archivio Francescano di Assisi furono trovati documenti del 1358 e del 1359 nei quali si parla di un vasaio, il grossista Cecce d’Alessandro, il quale vendeva ai frati del Convento assisano centinaia di pezzi ceramici, per i quali i frati pagavano anche le spese di trasporto da Deruta. Il centro di produzione ceramica umbro era favorito dalla posizione geografica: sulla via Tiberina che costituiva, insieme con la Flaminia, l’asse viario più importante per le comunicazioni tra Roma e l’Adriatico. Tuttavia non è possibile dare una connotazione precisa dell’ “arcaico derutese” anche in considerazione del fatto che la straordinaria, ricchissima e documentata produzione della maiolica derutese è risalente al Rinascimento e secoli successivi, che hanno confinato inesorabilmente il periodo arcaico in una zona d’ombra. E’ tuttavia nel XIII e XIV secolo (periodo arcaico) che questa produzione cominciò a diventare particolarmente importante per la città, con la realizzazione di oggetti di uso comune e domestico, versatori, bacili e scodelle.

Gli oggetti venivano decorati con figure geometriche, floreali e talvolta zoomorfe, con una tavolozza che si limitava all’impiego del verde ramina (ossido di rame) e del bruno manganese, secondo i canoni dello stile arcaico.

Verso il 1400 si assiste ad un’evoluzione delle forme, con l’affinamento della tecnica del tornio e delle decorazioni. Sono di questo periodo le produzioni di albarelli note per uso farmaceutico e di vasi con manici a torciglione, recanti spesso l’effigi di nobili famiglie umbre; scene di guerra, di caccia, soggetti amorosi ed allegorici, simboli araldici vengono raffigurati su piatti “da pompa”.

Intorno al 1450 la produzione si arricchisce ulteriormente di forme, decori e tecniche.

Domina in questo periodo la raffinata tecnica del “lustro”, di origine orientale, utilizzata per dare alle ceramiche riflessi metallici oro o rubino con sfumature iridescenti. Infatti le date più antiche che compaiono sui lustri di Deruta sono 1501 e 1502. Il primo pezzo a lustro attribuito a Deruta è datato 1501 ed è una targa a rilievo che raffigura il martirio di S. Sebastiano, conservata al Victoria and Albert Museum di Londra. In precedenza il lustro era conosciuto tramite le ceramiche spagnole, che venivano importate in Italia in grande quantità. La produzione a lustro più nota è costituita però dai grandi piatti “da pompa”, destinati ad essere appesi alle pareti o ad essere esposti sopra le credenze e non usati sulla tavola. La raffigurazione principale di questi piatti è particolarmente curata; si tratta di piatti con ampie tese (decorate a quartieri, con motivi a foglie di acanto, a girali, a tralci e fiori, a squame …) al centro dei quali vi sono figure di guerrieri, episodi storici, ma soprattutto busti di donne riccamente vestite, dai lunghi capelli annodati, la cui tipologia è strettamente derivata dai modelli del Perugino e Pinturicchio, a volte armate, con cornucopie e con lunghi cartigli recanti proverbi, sentenze morali o esortazioni.

Altra testimonianza di una specializzazione nell’ambito ceramico è offerta dall’incremento del numero di fornaci: nella rilevazione catastale del 1489 ne vengono registrate 17, ben 14 in più di quelle presenti nel secolo precedente. Inoltre, nello stesso catasto, vengono segnalate numerose grotte. Si tratta di un dato significativo, attestante un’attività produttiva sviluppata, che richiede la disponibilità costante di grandi quantità di argilla. Le grotte, scavate direttamente negli orti e lungo le mura del castello, erano utilizzate soprattutto per la conservazione dell’argilla fresca.

Nel Rinascimento la produzione della maiolica derutese compì un notevole salto di qualità e raggiunse il suo massimo splendore, con produzioni originali per forma e decorazione, a lustro e in policromia di grande raffinatezza denominata convenzionalmente “Petal - Back” (Retro a Petali). Malgrado la persistenza di elementi gotici, come l’occhio di penna di pavone, il tipo “Petal – Back” può considerarsi pienamente rinascimentale, per l’ordinata e geometrica disposizione della decorazione. Fra i pezzi di maggior rilievo vi sono una brocchetta al British Museum di Londra con l’emblema della testa di moro, datata 1502 e un vassoio della Wallace Collection con stemma di Cristoforo Bourbon di Petrella, vescovo di Cortona dal 1477 al 1502. L’aspetto decorativo prevale su quello funzionale, intanto la tavolozza dei colori si è arricchita con l’arancio (ossido di ferro), il blu (ossido di cobalto) e il giallo (ossido di cadmio).

Verso la metà del 1500 compare una produzione raffinatissima e piuttosto rara, costituita soprattutto da vassoi con una complicata decorazione a grottesche in rilievo, fra cui spiccano la testa di Medusa, cavalli alati, draghi, delfini; nel centro profili femminili e maschili. Uno di questi vassoi, al Museo del Louvre a Parigi, reca la data 1545 e permette di datare approssimativamente l’intera tipologia.

Il successo della produzione derutese di quel periodo è figlio di una solida formazione artistica che si è sviluppata nelle botteghe dei ceramisti sotto la spinta della scuola pittorica umbra capeggiata soprattutto dal Perugino e dal Pinturicchio.

La capacità tecnico artistica dei ceramisti derutesi del periodo è ben rappresentata dalla realizzazione nel 1524 del pavimento della chiesa di San Francesco in Deruta, del quale si conservano 200 mattonelle, a forma di croce, dipinte ad arabeschi e fogliami, e da mattonelle a forma di stella a otto punte che si incastrano fra loro con motivi figurativi in cui è possibile riconoscere profeti, muse, divinità olimpiche, santi, figure allegoriche, profili maschili e femminili.

Pavimenti come quello della Chiesa di S. Francesco di Deruta, di S. Maria Maggiore in Spello, o della sacrestia di S. Pietro a Perugia, sono ulteriori testimonianze della migliore produzione delle maioliche derutesi. Pezzi particolarissimi sono quelli destinati a donativi secondo le usanze del tempo: ad esempio, le ballate, i piatti concavi per mezzo dei quali i corteggiatori, durante i ritrovi e le feste da ballo, inviavano dolci e confetti alle loro belle, affidando i propri messaggi amorosi ai motivi decorativi delleballate. Altri pezzi legati alle consuetudini popolari dell’Italia centrale sono le famoseimpagliate, e cioè tazze da brodo (o anche piccoli servizi composti di piatto, scodella, tazza, saliera, coperchio, incastrati l’uno sull’altro) che erano decorate con scene allusive alla maternità e motivi floreali.

Il tema dell’amore è poi alla base di altri esemplari ceramici come nelle coppe amatorie, offerte dagli innamorati alle amate, nei piattelli e nei vasi nuziali, detti gameli (dal greco “gamos”, matrimonio) con figurazioni chiaramente allusive, quali cuori che fiammeggiano, cuori trafitti e sanguinanti, due mani che si stringono per giurarsi fedeltà, un paio di occhi e nastri svolazzanti con motti amorosi.

Nastri svolazzanti con il nome di una fanciulla e l’aggettivo“Bella” sono nei piatti che raffigurano busti e profili di giovani donne: talvolta si trattava di un vero e proprio ritratto della destinataria del dono e del complimento. Nel 1600 compare anche a Deruta lo stile “compendiario” caratterizzato da una pittura riassuntiva e sommaria, realizzata però su forme complesse ed elaborate, come quelle dei calamai, delle saliere o delle alzate.

Particolare testimonianza della tradizione ceramica della zona del periodo sono le maioliche ex voto dedicate alla Madonna dei Bagni e tuttora conservate presso l’omonimo Santuario nei pressi di Deruta, costruito dopo un miracolo avvenuto nel 1657, dove le pareti, i pilastri e perfino la base della cupola del sacro edificio appaiono ricoperte di mattonelle votive in ceramica realizzate da artigiani derutesi. Verso la metà del 1700 si avverte la concorrenza dei prodotti di porcellana, in particolar modo proveniente dagli opifici cinesi che avevano adattato la produzione alle esigenze ed al gusto dei mercati occidentali, inviando in Europa, attraverso la Compagnia delle Indie, ingenti quantità di vasellame.

La letteratura storica sulla maiolica derutese insiste nel considerare i secoli XVIII e XIX come periodi di forte decadenza stilistica e produttiva. Si consideri che dal tardo Seicento a tutto il XIX secolo, le stoviglie, il vasellame e i piatti di Deruta erano destinati esclusivamente ai mercati locali della regione, o al più a quelli della vicina Toscana e di Roma. Tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800 le vicende storiche e politiche ed i mutamenti del gusto faranno notevolmente diminuire a Deruta, come negli altri centri, la quantità e la qualità delle produzioni. E’ solo un secolo dopo che, sulla spinta di singoli artisti, uomini di cultura, appassionati e studiosi, il settore ceramico iniziò il suo cammino verso la ripresa, proiettandosi verso il suo sviluppo definitivo. Si tratta di una crescita in parte favorita dal revival rinascimentale, che in questo periodo si diffonde in tutti i territori umbri per iniziativa di alcuni ambienti culturali di Perugia, pronti ad estendere i loro interessi anche in direzione di Deruta. Gli sforzi si concentrarono nella costituzione di un museo, in grado di testimoniare, nel tempo, il valore artistico della produzione derutese, offrendo degli esempi concreti anche per rivitalizzare le attività artigianali. In realtà, l’idea di un museo da mettere a disposizione degli artisti derutesi, in modo da stimolare la riscoperta delle antiche tradizioni, si deve ad un gruppo di studiosi locali: Francesco Briganti, notaio; Alpinolo Magnini, professore di disegno; Angelo Micheletti, medico ed artista. Sono loro che iniziano a raccogliere i primi reperti.

Il “Museo artistico per lavoranti in maiolica”, frutto di una concezione innovativa capace di coniugare le esigenze artistiche con quelle economiche del territorio, è primo nel suo genere in Italia e viene fondato nel 1898. Il primo conservatore del museo diventa, nell’ottobre del 1900, Angelo Micheletti, sostituito l’anno successivo, dopo la sua morte, da Francesco Briganti, che ricopre tale incarico fino al 1903, quando il museo, collocato in alcune sale del Municipio, viene ampliato. Le acquisizioni continuano anche negli anni successivi, quando l’incarico di conservatore viene affidato ad Alpinolo Magnini. Il senso di questo percorso, che ha i suoi punti di riferimento nell’istituzione del museo, nella formazione e in un sempre più ampio rapporto tra le conoscenze storiche e la produzione artigianale, emerge con chiarezza in alcuni passi della relazione presentata nel 1903 al Consiglio comunale di Deruta da Francesco Briganti, proprio per ottenere l’ampliamento del museo stesso:

“è necessario se non indispensabile che l’amministrazione comunale si interessi all’unica industria del nostro paese … . Le maioliche derutesi hanno una tradizione storica che le presenta in un modo così attraente da facilitarne grandemente la vendita; i lavori ad imitazione dell’antico usciti dalle nostre fabbriche vengono acquistati e ricercati specialmente dai forestieri visitatori delle nostre contrade dell’Umbria verde. Tutti conosciamo la istoria delle fabbriche di Deruta, ma non abbiamo più i preziosi esemplari che ci sono stati trafugati dagli amatori e dagli speculatori, annuente la nostra indifferenza e la mancata venerazione per i ricordi del passato … . Le fabbriche devote continuarono fino ai giorni nostri, alternandosi delle epoche di gloria e di decadenza. E quello che è sommamente notabile non vi fu mai una interruzione che si verificò quasi nella maggior parte delle altre fabbriche italiane, ma se ora manca un valido aiuto noi saremo testimoni di questa vergogna … . Istituisca il Comune una scuola per il disegno e per la fabbricazione delle maioliche, indica una esposizione triennale con premi e stabilisca pure un premio annuale per quella fabbrica che avrà prodotto maggiore numero di lavoro… . Esiste in Deruta un museo, gli oggetti ivi raccolti cominciarono a raggranellarsi nel 1898 ed io stesso insieme al dottor Angelo Micheletti raccolsi vari frammenti e oggetti posseduti da varie famiglie di Deruta… . Indispensabile è infine l’utilità di questo museo. Con esso veniamo a conoscere la stria e lo sviluppo dell’industria ceramica in Deruta; diamo ai nostri lavoranti degli esemplari da imitare e questi esemplari gloriosi saranno uno stimolo per i fabbricanti e una réclame per i visitatori” .[1]

Sono proprio questi gli anni in cui la riscoperta delle antiche tradizioni, l’inaugurazione di nuovi percorsi formativi per le maestranze e l’individuazione di innovativi rapporti con delle fabbriche locali (nel museo viene accolta anche la produzione artigianale contemporanea), consentono il definitivo decollo dell’intero settore. Le trasformazioni determinate da questo processo di rinnovamento interessarono non solo gli aspetti estetico – formali, che presero la strada del revival storicista, ma anche quelli tecnico – produttivi, che si indirizzarono verso l’industrializzazione. Ne derivò l’introduzione di macchine e tecnologie di importazione (forni e torni elettrici) e l’organizzazione sul modello della manifattura e non più su quello della bottega artigiana (specializzazione delle mansioni). Nel 1903, infatti, viene avviata la Scuola comunale di disegno, diretta dall’artista Alfredo Santarelli e dal 1907 dallo stesso Alpinolo Magnini e nel 1904 viene costituita la prima cooperativa fra tutti produttori derutesi: la Società Anonima Cooperative Maioliche. Si tratta della prima ed unica impresa del settore della ceramica che assume in Umbria un assetto societario diverso dalla bottega artigianale. Al progetto aderiscono sei fornaci. Gli aderenti si impegnano a consegnare al magazzino comune la loro produzione, accettando nello stesso tempo la supervisione della cooperativa stessa. La qualità dei prodotti risulta buona. L’azienda sperimenta una discreta organizzazione distributiva, che prevede dei depositi a Perugia, Firenze e Roma.

L’organizzazione produttiva della ceramica derutese conosce, finalmente, un assetto industriale ed esce dal ristretto ambito locale, coinvolgendo importanti esponenti del mondo economico perugino come Francesco e Giovanni Buitoni, quest’ultimo già alla guida della Perugina. È così che in breve tempo la società diventa una delle principali produttrici di maioliche artistiche italiane, quasi tutte esportate all’estero. Tra il 1923 ed il 1927 all’interno della Società Anonima Maioliche Deruta si dà vita ad una sorta di scuola aziendale, affidata all’artista ucraino David Zipirovic, la quale contribuisce notevolmente ad elevare il livello qualitativo della produzione. Il successo di questa esperienza, nella quale la dimensione industriale tende sempre più a sostituirsi a quella artigianale, si deve proprio alla presenza, all’interno dell’azienda, di imprenditori perugini, come Giuseppe Baduel e Biagio Biagiotti, che legano lo sviluppo della Maioliche Deruta all’espansione della Perugina. Le ceramiche di Deruta, infatti, vengono usate per le confezioni di lusso dell’industria dolciaria. È in questo modo che l’azienda si afferma nel mercato italiano e rafforza le sue esportazioni grazie all’aggressività della Perugina nei mercati esteri, in particolare in quello degli Stati Uniti, che apre nuove possibilità di espansione anche per le ceramiche derutesi. Negli anni Venti, la Società Maioliche Deruta conosce un significativo processo di crescita e per rispondere alle esigenze di mercato procede all’acquisizione di altre aziende ed alla diversificazione della sua produzione in altri centri. È in questo contesto che nel 1923 viene fondata a Perugia “La Salamandra”, già attiva a Roma.

Il progetto di espansione del settore della ceramica pensato dal gruppo imprenditoriale derutese non si arresta con l’apertura de La Salamandra. Nel 1926 viene aperta, sempre a Perugia, nei pressi dello stabilimento della Perugina, la fabbrica della Società Anonima Maioliche Zulimo Aretini e sempre nel corso degli anni Venti si amplia il numero delle imprese collegate o controllate. Tutte queste imprese trovano la loro collocazione naturale all’interno del Consorzio Italiano Maioliche Artistiche, il quale, nella seconda metà degli anni Venti, dispone di punti vendita non solo a Deruta e Perugia, ma anche a Roma, Firenze e Milano. Negli anni Trenta si procede ad una ristrutturazione del gruppo aziendale che determina la fine del consorzio e la chiusura di tutti i suoi stabilimenti, ad eccezione di quelli di Deruta e Perugia, cioè quello de La Salamandra. Nasce così una nuova società, animata dagli stessi imprenditori perugini della precedente, che assume la denominazione di Società Anonima Maioliche Deruta e Consorzio Italiano Maioliche Artistiche, la quale si trova però a fare i conti con le difficoltà economiche e politiche che caratterizzano l’Italia alla fine degli anni Trenta.

Contemporaneamente continua l’attività delle singole botteghe artigianali. Con denominazioni di fabbrica rivivono antichi motivi decorativi: così l’orvietano, che con libertà interpretativa indica le figurazioni tratte dalla maiolica arcaica medioevale; il decoro ‘400, che si richiama alle decorazioni in stile severo riunendo in unico motivo composito la “foglia accartocciata” e la “penna di pavone”. Dal Cinquecento sono mutuati i “girali fioriti”, frequenti sulle tese dei piatti da pompa, che ora divengono un’autonoma decorazione denominata “Ricco Deruta”; infine il “Raffaellesco”, le note grottesche tardo rinascimentali e i lustri, sotto la denominazione di “moresco” e “oro”. Dagli anni Trenta al secondo dopoguerra anche Deruta subì uno dei tanti e ciclici “periodi bui”. Ma la ripresa della vita democratica dopo il fascismo e la guerra mondiale significa, per Deruta, l’inizio di un nuovo processo di crescita e di trasformazione. Come all’inizio del Novecento, anche in questa fase, l’unico e possibile futuro economico di Deruta viene individuato nel settore della ceramica, che impone la predisposizione dell’ennesimo piano di rilancio e sviluppo. Se in età giolittiana è la fondazione del museo a guidare la ripresa del settore, è sempre il museo, ma in questo caso da rifondare ed ampliare, a sostenere la medesima riscoperta di uno splendore artistico. Tale periodo e in particolare gli anni del “miracolo economico” si possono leggere attraverso il paradigma della “grande trasformazione”. Nel corso degli anni Cinquanta, si esaurisce il rapporto di collaborazione tra la Società Maioliche Deruta e la Perugina, la quale inizia ad abbandonare i mercati di lusso per orientarsi verso una produzione di massa. In ogni caso, superata questa delicata fase iniziale, il sistema economico locale inizia rapidamente a crescere.

Profondamente diverse, invece, sono le sorti della Società Anonima Maioliche Deruta e CIMA. Nei primi anni Cinquanta il volume d’affari dell’azienda è crescente e sono sempre più frequenti le relazioni con le grandi multinazionali. Ciò spinge l’azienda a costruire un nuovo stabilimento; i problemi emergono però subito dopo. Gli elevati costi di produzione e la perdita di competitività sui mercati internazionali determinano l’inizio di una profonda crisi. Nel 1955, la Maioliche Deruta, già messa in difficoltà dalla perdita di alcuni suoi importanti azionisti, viene trasformata in società per azioni, ma nello stesso anno si decide anche la chiusura dello stabilimento di Perugia e nel 1957 viene dichiarato il fallimento. La crisi prodotta a livello locale da questo evento è in parte compensata dalla nascita di nuove aziende di piccole dimensioni e a carattere familiare. La frammentazione delle imprese impone, però, l’individuazione di nuove strategie di sviluppo e la necessità di procedere all’ennesimo rilancio di un settore che, nel suo complesso, ha definitivamente perso quella dimensione industriale acquisita nel corso degli anni Trenta. Intorno alla metà degli anni Settanta si rileva come sia proprio la mancanza di personale specializzato, privo di formazione tecnica, a costituire l’ostacolo maggiore per un’ulteriore crescita del comparto, in grado di consentire anche alle aziende più piccole di conquistare fette di mercato all’estero, nonostante le crescenti esportazioni che in questo periodo si dirigono soprattutto verso gli Stati Uniti. Se le prime fasi di lavorazione dell’argilla non necessitano di operai specializzati, che possono provenire anche dal mondo agricolo, le fasi di modellamento al tornio, di cottura, di smaltatura, decorazione e ricottura finale richiedono, invece, delle conoscenze e delle abilità particolari. I decoratori, infatti, in prevalenza donne, solo in pochi casi raggiungono dei livelli tali da consentire una possibile evoluzione dalla dimensione artigianale a quella artistica. È per questo motivo che, proprio nei primi anni Settanta, si procede all’apertura dell’Istituto statale d’arte per la ceramica, oggi Liceo Artistico che contribuisce all’apprendimento ed al perfezionamento delle tecniche di lavorazione della ceramica, elemento centrale per uno sviluppo innovativo di questa forma d’arte. Si individua come principale strumento per rafforzare il comparto della ceramica il vecchio museo, anch’esso da ampliare e rivalutare, grazie ad una nuova e più adeguata sede espositiva, in modo che possa continuare a costituire il fondamentale punto di riferimento di tutti i processi produttivi attivati all’interno delle fabbriche e delle botteghe artigianali. Contemporaneamente, come alla fine dell’Ottocento, anche in questa fase si riattiva il meccanismo delle esposizioni e dei concorsi. Gli sforzi prodotti per favorire il definitivo sviluppo del settore della ceramica approdano ben presto a risultati concreti, malgrado la profonda crisi che investe l’economia umbra intorno alla metà degli anni Settanta. È proprio questa forte caratterizzazione a sostenere l’idea di un nuovo museo, non più rivolto alla sola produzione artistica derutese, bensì in grado di documentare l’intera vicenda storica della ceramica umbra. Questa prospettiva matura definitivamente nel 1978, quando, come sede per il nuovo museo vengono individuati gli ampi spazi disponibili all’interno dell’ex convento di San Francesco.

Il Museo Regionale della Ceramica di Deruta è il più antico museo italiano per la ceramica, istituito nel 1898.

[1] Atti del Consiglio comunale, vol. “Atti del Consiglio comunale dal 6 novembre 1901 all’8 gennaio 1911, Verbale del Consiglio comunale del 30 agosto 1903.


Visita alla Lavorazione della Ceramica
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